CERTE PRIMAVERE CELANO GELIDI INVERNI
GIANNI BONINI
03 mar 2014
CERTE PRIMAVERE CELANO GELIDI INVERNI

Ma veramente qualcuno pensava che Putin sarebbe rimasto inerte di fronte alla crisi ucraina?
Che avrebbe lasciato impunemente le sue basi militari in Crimea ostaggio dei ribelli ucraini sponsorizzati dall'Occidente (poi vedremo come e con quali differenze)?
Che avrebbe permesso l'installazione della NATO alle porte di casa?
Stando ai giornalisti dei grandi media nostrali infatuati dalle giornate di Kiev come lo furono delle trapassate primavere arabe, sì. Ed allora bisogna che molti di loro ritornino a scuola, alle vecchie elementari e ripetano la guerra di Crimea, conflitto durissimo, con cui Cavour guadagnò ai Savoia lo status di media potenza regionale e di lì a poco la conquista dell'Italia, oppure ritornino al cinema a vedere Errol Flynn nella Carica dei Seicento che ho visto proiettato la prima volta, pagando cinquanta lire, nell'atrio della mia scuola intitolata ad Armando Diaz. Per inciso l'ignoranza e la superficialità della nostra informazione maggiore comincia ad essere un tratto gravissimo e preoccupante, porta la responsabilità di inoculare nella testa della gente un atteggiamento facilone, che poi per contraltare, quando le situazioni diventano difficili, si trasforma in antipolitica aggressiva, terreno di cultura dei fenomeni grillini e di personaggi inquietanti come Casaleggio.
Era facile prevedere e noi lo avevamo previsto e detto, che, una volta concluse le Olimpiadi di Sochi senza danni nonostante le minacce di Bandar bin Sultan, capo dell'Intelligence saudita e forse molto di più, i Russi sarebbero passati al dossier ucraino con mano pesante, sia per le ragioni sopra dette, sia perché Putin non può permettersi nessun atto di debolezza nei confronti del suo apparato militare-industriale e del processo in atto di ricollocazione della Russia nel rango di grande potenza mondiale.
Quello che sorprende o almeno così sembra in apparenza, le nostre informazioni sono insufficienti per capire fino in fondo molte variabili, è la stupida gaiezza con cui in Europa si è seguito gli avvenimenti di Kiev dove comunque un Presidente regolarmente eletto, che ci piaccia o no, come ha giustamente sostenuto Massimo Fini, viene spodestato da una rivolta di piazza della capitale, senza minimamente esercitare un ruolo di mediazione che tentasse almeno di ridurre i rischi oggettivi di scontro col vicino vecchio orso tornato in salute dopo i disastri di Gorbacëv e Eltsin.
Basta guardare la mappa delle pipeline di gas che attraversano l'Ucraina per approvvigionare l'Europa e gli attici dei nostri soloni mediatici, per rendersi conto di come, assommati ai disastri ed alle tragedia mediorientali e magrebine, i nostri interessi in particolare sarebbero stati quelli di gettare acqua sul fuoco e non di attizzarlo, come continua a fare il focoso Monsieur Hollande, mentre la Merkel è molto più prudente, impegnati come sono i tedeschi a non scoprirsi un'altra volta le spalle ad est, senza contare i legami energetici e di mercato.
Ed è a questa prudenza che dobbiamo questa volta guardare, senza pregiudizi e ideologismi, per una prima lettura di questa crisi molto seria, che è una componente del più generale quadro di destabilizzazione euromediterranea, dalle appunto cosiddette primavere arabe al conflitto ormai siro libanese, alla drammatica recessione greca - la Grecia è un anello di congiunzione importante tra Medioriente, continente asiatico ed Occidente - dove la spietata troika, ma guarda un po', trova più opposizione che altrove.
Insomma, a mio avviso, siamo di fronte ad un altro tassello del progetto di destrutturazione europea, di un'Europa unita che forse a questo punto non vuole più nessuno al tavolo delle potenze globali, nemmeno la stessa Germania che infatti per la prima volta, sul piano mediterraneo e africano, dalla politica guglielmina antecedente il 1914, si rende disponibile ad intervenire in prima persona nelle aree di crisi extraeuropee, una novità di cui soltanto Il Foglio ha sottolineato la portata.
Per ora mi fermo qui. Vedremo nei prossimi giorni l'evolversi degli avvenimenti, i fatti al di là delle dichiarazioni ufficiali, la posizione reale sul piano della forza dell'Amministrazione americana, quella europea non sembra al momento andare oltre la deplorazione e gli inviti che lasciano il tempo che trovano, vedremo i giochi delle parti e le mosse concrete dei molti attori di questo nuovo scenario di crisi europeo e ribadisco europeo.
Un compito molto rischioso per il nuovo governo di Renzi e per la sua giovane squadra, invischiati in una storia in cui abbiamo molto da perdere e nulla da guadagnare, considerando che gli scossoni dei mercati dell'energia potrebbero vanificare nel giro di un'apertura di borsa qualsiasi volenteroso Jobs Act. L'ho detto e lo ripeto, senza una nuova visione geopolitica che parta dalla constatazione del multipolarismo e della cosiddetta strategia soft power degli USA, vivremo perennemente uno stato di precarietà e di progressiva riduzione del nostro benessere.