FABIO FOCARDI
28 gen 2014

“Invece di quali mezzi un principe spinto dal solo desiderio di dominio debba servirsi per poter istituire e mantenere il potere lo ha mostrato ampiamente l’acutissimo Machiavelli, ma a quale scopo ne abbia trattato, non sembra invece abbastanza chiaro. Se tuttavia ebbe un fine buono, come bisogna credere di un uomo tanto saggio, questo sembrerebbe quello di mostrare quanto imprudentemente molti cerchino di eliminare un tiranno quando tuttavia non possono eliminarne le cause per cui un principe è un tiranno. [… ] Inoltre volle forse mostrare quanta attenzione una moltitudine libera debba fare a non affidare la sola salvezza ad un solo individuo, il quale, a meno che non sia uno sciocco e non pensi di piacere a tutti, ogni giorno deve temere insidie. E quindi deve badare piuttosto a se stesso ed è costretto a congiurare contro la moltitudine più che a provvedere ad essa. Ritengo che si debba considerare questa la tesi di quell’uomo così avveduto, giacchè è noto  che egli fu un difensore della libertà, per tutelare la quale forni anche ottimi consigli.

B. Spinoza Trattato Politico. 

FABIO FOCARDI

Il disordine è grande sotto il cielo e la sua descrizione non può essere che un “guazzabuglio” di  pensieri, giudizi, immaginazioni che spingono a meditare sulla realtà effettuale. Sofri prova a leggere l’oggi con gli occhiali di quel Machiavelli ignorante, diabolico e oltre la morale, studiato e tirato da ogni parte da molti. Quella di Sofri appare una lettura distaccata, “disinteressata”. Chi è il principe oggi e quanti lo incarnano? La ricognizione di Sofri è globale. Per tempistica editoriale o scherzo del divenire, manca solo Hollande con casco e motorino, ma da Obama a Merkel da Stalin a Pol Pot ci sono tutti. 

In occidente i più sono principi pro tempore, per grazia della moderna democrazia che pur stenta ad evolvere. Ma sembrano principi vecchi, quasi funzionari di un principe che non c’è o non è più reale. Un principe-denaro che deve profittare, che travalica la ricchezza familiare in quanto limite, odia la staticità e la successione e gratifica oltre sè stesso,  solo chi lo incrementa aiutato dalla fortuna.

 

Il Principe in carne e ossa non è più mediazione politica, il ruolo del primato non ha ormai forza d’essere e dalla figura del potere scappa, fuoriesce e appare sempre più l’uomo o la donna privata: l’Hollande innamorato, la Merkel che scia e si frattura il bacino. Atteggiamenti troppo umani per essere credibili e impositivi. In altri tempi, anche su questi aspetti, la sicurezza dello stato avrebbe imposto il silenzio, ma oggi questo si è rotto. Ci sono quindi principi che, pur avendo la responsabilità della chiave atomica, non riescono a impersonare totalmente il ruolo asettico del potere.  Neppure l’ostentata forza e la”grinta” di Putin lo fanno nuovo zar. Viene da pensare quanto più cogente sia la forza delle banche, mentre le politiche nazionali si dibattono ancora tra nazionalità e realpolitik.  E l’unione del vecchio continente sembra torni ad essere basata su un’ipotesi medievale.

 

Viene da chiedersi chi potrà fondare un principato nuovo o rinnovarlo. A nulla serve voler ricostruire vicinanze col popolo per rinnovarlo con identificazioni costruite ad hoc come l’essere progenie di poveri custodi di pecore keniote. La mediazione è infranta e il vero principe è quasi nudo. E si confronta con indifferenza e indignazione, entrambi segnali di instabilità e di conflitto.

 

In occidente si è dissolto anche il Partito, proprio quello che Gramsci vedeva come nuovo Principe della cultura di classe. In oriente ne è epigone il partito cinese, ancora unico formidabile strumento di mediazione-controllo che soggioga la persona e sfida la natura evocandone la reazione. Fino a quando? 

Ma può essere  un epigone il giovane rapper Tupac Shakur? Figlio di una cultura di ribellione, raggiunge il successo, legge e incontra Machiavelli in prigione e finisce per perdere la vita in un scontro tra gang. La sua morte, non a caso, avviene durante uno scontro tribale, proprio di uno stato sociale primordiale che riaffiora ed è funzionale all’istituzione statuale attuale. Vita troppo breve, rotta da maligna fortuna o circuito senza via di uscita magari precostituito da apparati in cui si avventura un singolo con pochi seguaci anche se con molti fans? Tupac non è forse quasi un martire predefinito che poco incide nel suo contesto e perde la vita pur trasmettendo valori?

 

Poi ci sono i Principi dei mondi nuovi, tiranni passati dalla lotta di liberazione allo sterminio, in nome di una “lettura “cattiva” su come debbano essere conservati gli stati. Quelli che hanno voluto rinnovare l’uomo, il cittadino da “costruire” e lo hanno fatto con campi di prigionia o sterminio. Principi di geografie dell’est, sconosciute ai più, che approfittano delle ricchezze del loro territorio e una volta giunti al potere le sfruttano per arricchirsi fino all’impossibile. 

 

Leggendo il libro, emerge che la discontinuità con lemoltitudini non  è mai stata così evidente. Nella sua ricognizione globale Sofri classifica i troppi principi nuovi, e nessuno di tempra machiavelliana. O forse uno sì, ed è un nuovo principe elettivo: quel Papa Francesco che tenta di ricondurre lo stato ai principî. 

In realtà oggi i principi della Chiesa sono due: paradosso della storia creato dalla virtù di Benedetto XVI che non ha concesso il proprio corpo alla gestione della curia romana, rompendone le linee di potere e creando quel disorientamento che, con la Provvidenza (o sottomettendo fortuna?), ha creato le condizioni del cambiamento. Benedetto non ha vissuto impetuosamente come Alessandro Borgia, ma ha fermamente scelto la rinuncia come strumento della virtù. Francesco opta invece per il ritorno ai valori del primo Francesco, sceglie la povertà con grande forza e impeto. La realtà corregge Machiavelli: gli stati avranno ancora bisogno di una religione o la religione rinnovata tenderà a sopravanzare gli stati e ne condizionerà l’operato? In ogni caso, oggi la forza del papato non è più temporale ma è molto superiore a quella irrisa da Stalin o a quella delle residue milizie svizzere. 

 

Sofri sottolinea anche il  paradosso italiano, in cui  la politica-volpe è giunta a carpire l’uva e fa prigioniero il corpo di una persona che vorrebbe scappare, costringendolo al ruolo di quasi principe. Vaticano e Italia si scambiano la loro storica dinamica politica. Ma se la volpe oggi tende all’uva, il leone dov’è? Forse è nell’immaginazione storica, luogo non meno importante del reale.

Caterina Sforza sì che è una principessa nuova! Ma non per l’astuzia e la virilità con cui combatte le sue battaglie - pur soccombendo al Valentino - ma per quel semplice gesto raccontato da Machiavelli che ne fa una testimone della forza dell’amore e rende plastiche le nostre idee e l’identificazione. Politica come stupro - dice Sofri - in riferimento a virtù e fortuna, ma nelle pagine su Caterina – forse tra le più sentite -  non si può non avvertire la potenza di una politica come vita, amore, valori di un possibile oltre.

L’immaginazione cozza contro la cultura padrona del reale, tuttavia sfiora e lascia intuire la potenza dell’amore, della vita. Anche se questi valori non elimineranno il conflitto, offriranno paradigmi diversi da quelli dell’astuzia, della forza e del potere. Nella concretezza della storia, come è noto, Caterina è vinta dal  Valentino ma tra i due  si prefigura lo scontro tra potere e potenza. E nella realtà il terzo attore, la Fortuna, gioca con il potere ma non può togliere all’immaginazione la chance per il possibile della virtù.  

Gli occhiali machiavelliani garantiscono a Sofri una lettura critica dell’ormai sancita autonomia della politica dalla morale ma anche dell’autonomia della morale dalla morale stessa. Se pur non detta, emerge la necessità di una nuova politica come etica; la riflessione sottostante porta ancora al bordo dell’alternativa su chi e come debba costruire gli argini, su chi possa creare  proprio la mediazione tra etica e  politica. Per questo, nell’ultima parte del libro la proposta di Sofri rischia di essere utopica. Non dice chi possa spingere gli stati ad attuare la tregua universale da lui ritenuta necessaria contro le violenze delle guerre e delle guerre civili. 

 

Se non c’è più nessun principe che possa garantire quella tregua basata sulla politica della riparazione che Sofri invoca, non c’è più nessun segretario che possa  suggerire strategie  ai potenti. Chi allora imporrà la scelta più adeguata ad ogni particolare crisi o conflitto? Chi limiterà l’atteggiamento di dominio sulla natura, costruendo un agire progressivo e non progressista?

Non sarà certo la ragion di stato a diventare spontaneamente utile e buona, nè quella del profitto a correggere la relazione con la natura e l’umanità. Allora, ci saremmo aspettati che, lasciando perdere la affezioni negative del post res perditas, si  fosse ricominciato a pensare questo mondo con i Ciompi. Non con un fine di ribellione generale, ma dentro questa realtà, per una ricostruzione etica del livello di mediazione politico-istituzionale. 

 

Forse, il processo della potenza della vita, con tutti i suoi conflitti, i suoi capipopolo - anch’essi momentanei -  con i suoi avanzamenti, retrocessioni e sedimentazioni, è oggi più concreto e in movimento di quanto si creda; mentre l’attuale politica mutilata che pretende di farla da padrona, non è detto sia vincente, sia nel particulare che nel globale.