DANIELE LAURIA
27 gen 2015

Nel buio della notte, nelle curve in discesa, l'autoradio perde e ritrova le frequenze memorizzate restituendomi frammenti di notizie che raccontano di spari e inseguimenti tra le vie di Parigi finché, quando la strada spiana, riverberano nell'abitacolo urla e colpi di fucile* che lasciano poi spazio alla voce inconfondibile di Fabrizio De André...

https://www.youtube.com/watch?v=m3ZGdzuvcws&list=RDm3ZGdzuvcws#t=26

 

Quello che non ho è una camicia bianca, quello che non ho è un segreto in banca

...e penso che ogni riferimento a persone e fatti dei nostri giorni sia (forse) casuale per il fatto che il 'Faber' ci ha lasciato da sedici anni e che questa canzone è del 1981 quando la camicia bianca e il suo 'colletto' erano l'emblema di chi non si sporcava le mani, di chi stava dalla parte del padrone. Forse anche un riferimento ai 'quarantamila' impiegati della FIAT che con il loro corteo dell'anno prima segnavano la fine di una stagione di proteste scaturite dai licenziamenti di massa al Lingotto e aprivano simbolicamente la strada all'Italia che verrà, prima post-industriale, poi post-ideologica e infine post-it sulla bacheca del mondo.

Quello che non ho sono le tue pistole

per conquistarmi il cielo, per guadagnarmi il sole

...e immagino che le pistole non siano solo le colt dei cowboys che inseguivano gli indiani prima che partisse la musica. Oggi sono i 140 caratteri di un tweet ben assestato; il video registrato in qualche deserto mediorientale e scodellato sulle nostre tavole dal Tg della sera; le A, le B, i 'più' e i 'meno' delle agenzie di rating.

Quello che non ho è di farla franca

quello che non ho è quel che non mi manca

...perché è facile, avendo tutto, distinguere tra l'essenziale e il superfluo: una linea che marca le diseguaglianze del mondo di oggi e che è all'origine di conflitti cui poi vengono attribuite coloriture e ragioni facilmente assimilabili dalle parti in causa.

Lo ha ben sottolineato pochi giorni fa Franco Cardini nel dare un senso allo scenario internazionale profilatosi con forza proprio dopo i recenti attentati di Parigi. Non che il tema del divario crescente tra ricchi e poveri sia un fatto che riguardi solo gli "altri": i più recenti dati della Banca d'Italia ci raccontano che il patrimonio delle prime dieci famiglie è uguale alla somma di quello degli 'ultimi' venti milioni di italiani; ci dicono anche che quel patrimonio è salito del 70% negli anni, dal 2008 al 2013, in cui la crisi ha prodotto una decrescita dell'economia nazionale pari al 12% e portato la disoccupazione vicina al 14%. Numeri che imporrebbero una seria strategia economica e non già la semplice emissione di buoni spesa.  

Quello che non ho sono le tue parole

per guadagnarmi il cielo, per conquistarmi il sole.

Perché, in effetti, viviamo in tempi in cui le parole valgono più delle azioni. Le parole, specialmente quelle scelte e ben studiate, hanno la forza di rimbalzare all'infinito e di riempire lo spazio in cui viviamo, così che (quasi) nessuno si interroga sul loro risultato.

Perché le parole ci ammaliano e ci fanno perdere di obbiettività, e buon senso, come potrebbe essere capitato anche al copyrighter della campagna 'verybello' che dovrebbe invogliare i visitatori stranieri a visitare il nostro bel-paese durante i giorni dell'Expo prossima ventura. Peccato che nel relativo sito internet le uniche parole non italiane siano il 'coming soon' accanto alla bandiera britannica così che rimane il dubbio se nella versione inglese la campagna si titolerà 'moltobeautiful'. Comunque è solo il dubbio di una domenica sera dove la notizia vera è il risultato delle elezioni greche appena vinte da 'Syriza' e che i prossimi giorni ci diranno quanto 'belle' saranno per noi. Nel frattempo la musica è finita e mi accorgo che quello che non ho sono (anche) persone alla De André.

 

* Comincia così "Quello che non ho", il primo pezzo dell'album 'Fabrizio De André - L'indiano' (1981)